RISULTATI

Tutte le indicazioni emerse nelle varie attività di partecipazione lungo i mesi di Prato al Futuro sono state riassunte nei report di sintesi. I contenuti dei report sono stati poi analizzati con un sistema quali quantitativo.
Le indicazioni georeferenziabili in un luogo specifico sono state trascritte nella mappa interattiva che è stata consegnata ai progettisti dell’Ufficio di Piano per consultarla, come cartografia partecipata, durante la redazione del Piano.
Le indicazioni non georeferenziabili, invece, sono state analizzate in una matrice di analisi dei contenuti . In questo documento, presentato nell’incontro di restituzione pubblica del 22 marzo 2018, si illustrano attraverso una serie di grafici i risultati dell’analisi dei contributi.
Dopo l’adozione del Piano Operativo di settembre 2018, poi, è stata realizzata un’intervista ai redattori del piano per comprendere cosa fosse stato effettivamente recepito tra quanto emerso dal percorso partecipativo.

L’intervista che segue è stata condotta da Giulia Maraviglia di Sociolab (nel testo G.M.) con l’Assessore Valerio Barberis (nel testo V.B.) e con l’Architetto Antonella Perretta (nel testo A.P.) il 3 ottobre 2018. All’intervista ha partecipato anche la Garante per la Comunicazione e la Partecipazione Laura Zacchini (nel testo L.Z.).

G.M.: La domanda da cui vorrei partire è questa: a marzo scorso vi abbiamo consegnato due output del percorso partecipativo, la mappa interattiva con le varie indicazioni georeferenziate e la matrice con l’analisi dei contributi testuali. Come li avete utilizzati nel lavoro di redazione piano?

A.P.: Dunque, partiamo dalla matrice. Questa era giustamente stata suddivisa per quartieri, per frazioni e nei vari argomenti. Questi sono stati utilizzati nel momento stesso in cui abbiamo messo a punto il progetto di territorio e sono stati un bagaglio molto utile. Le indicazioni georiferite, invece, sono state utilizzate a posteriori, come verifica e correzione del disegno della città. Con l’Assessore, infatti, abbiamo verificato indicazione per indicazione: quelle non pertinenti (ovvero quelle che non rientrano per argomento o per tipologia nel Piano Operativo) sono state trasmesse agli uffici competenti per una valutazione specifica, mentre quelle pertinenti sono state verificate e valutate. Di queste ultime alcune erano già state recepite (ad esempio, nella foto, il raddoppio di un ponte che rientra nelle opere attinenti la terza corsia autostradale) ma anche quelle che ancora non erano state contemplate di fatto sono state accolte, a meno che non fossero incompatibili con le norme riguardanti la pericolosità idrogeologica o in contrasto con le norme regionali e nazionali.

Una buona parte delle indicazioni hanno riguardato lo spazio pubblico e questo è stato interessante perché la richiesta di decoro, unita alla sicurezza dei luoghi e alla loro riconoscibilità ha portato ad inserire una sorta di nuova tipologia di piazza. Le tipologie di piazze inserite nel Piano sono tre: la piazza comunemente intesa, le piazze del centro storico (già individuate dal Piano Strutturale e quindi da tutelare e conservare nei loro vari aspetti, storici, giuridici e di uso), e una nuova piazza che di fatto è una porzione di strada, una sorta di “tappeto” davanti a luoghi di interesse come scuole, edifici di culto, circoli etc. da trattare in fase di progettazione come “zone 30”, dove quindi il traffico subirà un rallentamento, evidenziate da pavimentazione riconoscibile e specifico equipaggiamento. Questo è stato fatto per dare dignità e sicurezza nell’attraversamento. Anche i bambini, spesso e volentieri, hanno sottolineato la paura di luoghi dove vige il caos, perché magari sulla stessa strada ci sono due edifici di interesse e il semaforo non è sufficiente a garantire un attraversamento percepito come davvero protetto. Quindi queste zone saranno da considerarsi delle vere e proprie piazze, con un attraversamento carrabile limitato. Queste piazze non costituiscono standard, le indicazioni quindi sono di tipo progettuale, di individuazione di spazio pubblico.

 

G.M.: quindi in questo caso si potrebbe dire che se non ci fosse stato il percorso partecipativo questa indicazione non sarebbe emersa?

A.P.: Esatto, con tutta probabilità questa terza tipologia di piazza non sarebbe venuta fuori in maniera così diffusa: noi avevamo individuato due o tre aree di questo tipo ma se adesso si guarda il Piano risulta costellato da queste “piazze”. I risultati della partecipazione ci hanno spinto a guardare con altri occhi il progetto, anche quelle che sono indicate come connessioni pedonali sono molte di più di quanto indicato inizialmente perché abbiamo avuto ancora più chiaro il valore di correlare fisicamente o visivamente due punti di interesse, da salvaguardare anche attraverso un percorso che potrà essere realizzato in vari modi.

Per parlare di un altro risultato della partecipazione, possiamo dire che dal momento che nel mese di Prato al Futuro dedicato all’ambiente e all’agricoltura è stata espressa più volte dai partecipanti l’esigenza di aumentare la dotazione di verde, questa indicazione sommata ai contributi del gruppo di lavoro riguardo la rete ecologica, gli studi idrogeologici, la VAS, l’analisi climatica e l’action plan sulla forestazione urbana ci hanno spinto ad aumentare la presenza del verde in città ed in particolare ad individuare fasce di forestazione urbana, ovvero il “verde di connettività”. Lungo le strade a maggior sezione, abbiamo dato indicazione di demineralizzare – riducendo la superficie asfaltata – a favore dell’introduzione di alberature che potranno essere poste al margine o al centro della strada, infatti il segno non indica la posizione effettiva ma dice che su quella strada dovrà essere realizzata una fascia di forestazione lineare. Ecco quindi il percorso partecipativo ci ha spinto ancora di più in una direzione in cui eravamo orientati e quello ambientare, con forza, è diventato il “tema” fondamentale.

 

G.M.: Abbiamo parlato di quanto avete accolto, adesso ti chiedo invece se ci sono state delle cose emerse dal percorso partecipativo che avete rifiutato, non per una questione di fattibilità tecnica ma perché non si sposavano con il disegno generale del Piano?

A.P.: Indicazioni che ci hanno fatto dire “questo assolutamente no” non ce ne sono, certo ci sono richieste non evadibili dal punto di vista tecnico o richieste di quantitativi in gioco non presenti nel Piano Strutturale a cui il Piano Operativo è strettamente correlato. L’unica cosa che viene in mente è che da parte dei bambini è arrivata forte la richiesta di centri commerciali, cioè di ripetere situazioni come i Gigli o il Parco Prato. Questa è un’indicazione che l’Amministrazione non ha accolto, in primis perché un centro commerciale di quelle dimensioni si definisce “grande struttura di vendita” e non ve ne era previsione sul territorio comunale, altrimenti la decisione che andava condivisa preventivamente con la Regione Toscana ancora prima dell’avvio del procedimento (dicembre 2016). Ma al di là della lungaggine tecnica e burocratica, questa è una scelta precisa dell’Amministrazione che predilige altri tipi di luoghi di riferimento, incontro e svago. Nonostante abbiamo tantissimi manufatti industriali che potrebbero diventare centri commerciali, la scelta fatta è quella di favorire gli spazi aperti come spazi di aggregazione.

 

G.M.: Forse l’indicazione dei bambini, leggendola tra le righe, individuava nel centro commerciale un luogo di incontro definito e riconoscibile…

A.P.: Sì, anche noi abbiamo letto questo. Evidentemente mancano spazi riconoscibili all’interno della città, perché spesso e volentieri le piazze non hanno limiti fisici individuabili. Per questo giocare con i materiali e le attrezzature nella progettazione delle piazze potrebbe essere interessante perché potrebbe trasmettere una maggiore riconoscibilità ai luoghi. Gli interventi di questo tipo potrebbero stimolare un meccanismo virtuoso nei cittadini residenti nell’area che, vivendo all’interno di un luogo di qualità e ben riconoscibile, potrebbero  sentirsi incentivati a ristrutturare le facciate degli edifici dando così allo spazio pubblico anche delle “quinte” adeguate. La piazza è tra le opere pubbliche quella che più “contagia” il suo intorno e il Piano vuole indurre i cittadini, in ogni situazione, che sia standard pubblico o intervento privato, a contribuire per quanto possibile al bene e al bello della città.

 

G.M.: La parte del percorso partecipativo svolta con i tecnici e i professionisti della città cosa ha portato?

A.P.: E’ importante premettere che i tecnici che lavorano in questa città fino ad adesso hanno avuto a che fare con un Regolamento Urbanistico, quello di Secchi, molto difficile da comprendere. Un Regolamento approvato quasi 18 anni fa, anni in cui la società pratese e non solo è più volte cambiata, e a cui il Piano con la sua difficoltà di comprensione data da una serie di “incastri” di difficile traduzione non rispondeva più. I professionisti per prima cosa ci hanno chiesto di snellire e rendere chiare ed agili le norme. Questo ha rafforzato un obiettivo che ci eravamo già dati, quello di fare un Piano il più possibile comprensibile, cercando di scrivere quello che è vietato fare piuttosto che quello che è possibile e compatibile. In particolare, questo termine “compatibilità” ha sempre innescato diatribe tra la parte tecnica interna alla struttura comunale e quella esterna. E devo dire che già da questi primi incontri pubblici e dal ricevimento al pubblico, prima di ogni richiesta o critica riguardante le aspettative dei privati, chi si confronta con il Piano ci ringrazia per la chiarezza, la leggibilità. E’ un Piano snello, nonostante i suoi 121 elaborati, un numero che può sembrare enorme ai non addetti ai lavori: 55 tavole grafiche che coprono il territorio comunale e 33 elaborati di documentazione storica di alcuni edifici. I tecnici non si aspettavano che per gli edifici storici elaborassimo una schedatura puntuale, con un apparato tecnico e iconografico, che ove è stato possibile risale al Cinquecento, quindi dalle “piante dei capitani di parte” ai catasti leopoldini, le foto e i cabrei. Materiale che generalmente un tecnico non ha a disposizione, vuoi perché non ha tempo di approfondire, vuoi perché non conosce i canali attraverso cui reperire questo tipo di informazioni. Questa schedatura a servizio dei tecnici e della città sta diventando uno dei nostri fiori all’occhiello. Una piccola nota: a seguito dell’adozione, il nostro ufficio ha partecipato ad UrbanPromo Green – manifestazione di settore a Venezia – presentanto la parte del Piano che riguardava gli standard, e alla prima conferenza nazionale delle Green City, a Bologna, dove tra l’altro si è parlato di questa schedatura. In entrambe le situazioni abbiamo ricevuto apprezzamenti dai presenti (amministrazioni regionali, amministrazioni comunali, professionisti e studiosi). Soprattutto quando abbiamo specificato che la schedatura storica degli edifici serviva per stabilire il valore degli stessi: spesso e volentieri il proprietario di un edificio non è cosciente del valore storico del bene e pertanto del valore economico, la conoscenza spinge ad interventi più corretti tesi a salvaguardare il manufatto ed aumentarne la resa sul mercato. E per i cittadini che non sono proprietari di quei beni, comunque si rafforza l’identità e il legame con la città.

 

G.M.: Bene, quindi riassumendo, possiamo dire che tutto il materiale emerso dalla partecipazione è stato attentamente valutato. Quello che non era attinente al Piano Operativo come è stato trattato?

A.P.: In parte è stato trasmesso (e in parte lo sarà a breve) ad altri assessorati e uffici, principalmente ai lavori pubblici e alla mobilità. Tante segnalazioni riguardanti il traffico, dovrebbero risolversi attraverso interventi più ampi che sono in previsione e quindi le possiamo considerare in qualche modo prese in carico. Molte indicazioni erano anche sulla sicurezza, qui il discorso è più generale perché in tante occasioni la richiesta era quella di installare telecamere o su incroci pericolosi o in zone percepite come insicure.

 

G.M.: I contributi della partecipazione sono stati analizzati solo da voi dell’ufficio di Piano o sono state condivise anche con i consulenti?

A.P.: Non abbiamo trasmesso ai nostri consulenti le singole segnalazioni, ma abbiamo operato preventivamente una sintesi, valutando se ci fossero elementi da sottoporre alla loro attenzione. È importante anche ricordare che alcuni dei consulenti hanno partecipato agli incontri e hanno “assorbito in diretta” quelle che erano le istanze dei partecipanti. Abbiamo condiviso quanto emerso anche con l’Architetto Boeri e il Professor Mancuso, che stanno lavorando per noi e realizzando dei progetti pilota su aree del territorio comunale secondo i principi della forestazione urbana. Noi dell’ufficio siamo sempre stati presenti al percorso partecipativo, agli eventi così come ad alcune uscite del punto mobile, quindi al di là di quello che ci è stato trasmesso per scritto, buona parte delle indicazioni le avevamo digerite strada facendo. Le sollecitazioni emerse non si discostano molto da quanto avevamo in mente: seppur con un diverso punto di vista i tecnici dell’ufficio di piano sono principalmente pratesi che vivono quotidianamente la città e che ne conoscono criticità e punti di forza, coloro che pratesi non sono, hanno offerto ulteriori punti di vista.

Quello che è importante, in un percorso di questo tipo, è che tutti sono consapevoli di vivere e lavorare in una città dalle tante potenzialità, anche oltre il centro storico. Pensiamo ad esempio all’asse della declassata, approfondito anche durante il workshop “beyond the Boundary nel luglio del 2017,  che è diventato uno dei progetti più importanti del Piano con l’obiettivo di dare nuova riconoscibilità all’ingresso alla città – la zona del Museo Pecci, l’area Ex Banci e il Parco delle Fonti – anche con volumi importanti da realizzare, allo scopo di delineare un nuovo sky line ed un aspetto più contemporaneo della città.

 

G.M.: Tecnicamente il Piano come è fatto? Come lo racconteresti a chi proprio non ne sa niente? 

A.P.: Dunque, gli elaborati sono suddivisi in due categorie: una parte di documenti sono costituiti da tavole e una parte da testi e documenti. Innanzitutto il cittadino trova l’intero territorio comunale suddiviso in 55 quadranti, in scala 1 a 2000 (che per intendersi vuol dire che un edificio come il Castello dell’Imperatore è grande poco più di un centimetro per un centimetro), dove con i toni del bianco e del nero sono mappati tutti gli edifici (comprese le abitazioni che non si vedono come in una foto aerea ma con il disegno del perimetro) e le strade. In queste carte è stato colorato tutto quello che riguarda la parte pubblica: verde, sport, parcheggi, chiese, scuole etc, sono contrassegnati da colori e delle sigle (spiegate in legenda) che costituiscono le previsioni. 

Come si legge questa carta? Il cittadino vedrà che la propria abitazione fa parte di un insieme di edifici simili detto “tessuto” che è identificato da un perimetro nero più spesso e da una sigla che lo qualifica. La sigla indicata in legenda (ad esempio TCS, Tessuto Centro Storico), serve a verificare nei documenti cartacei, in particolare all’allegato 4 che contiene le norme (la legge!), cosa è consentito fare o non fare in quel tessuto. Ad esempio ci sarà scritto se sia possibile o meno fare un piano in più, o ampliare, o se l’edificio ha qualche tipo di indicazione sulla salvaguardia o tutela (E1, E2, E3) in qual caso ci saranno ulteriori indicazioni specifiche. 

Guardando poi la parte colorata il cittadino avrà poi la percezione di quella che sarà la città del futuro: la parte colorata nella campitura piena rappresenta l’esistente, mentre nella campitura alternata con il bianco rappresenta la previsione (parcheggi, verde, piazze etc.). Queste previsioni possono attuarsi in due modi. Il primo è quello dell’esproprio: i cittadini che possiedono un bene o un terreno nelle aree interessate troveranno il proprio nome nell’elaborato 8 dove vi è l’elenco dei beni sottoposti a vincolo espropriativo e che da qui a 5 anni (tempo della validità del Piano) potrebbero essere espropriati ad un prezzo congruo. L’altro modo è quello delle aree di trasformazione: i beni o terreni inseriti all’interno di una scheda di trasformazione (Elaborato 4_01) sono quelli che saranno dati in cessione gratuita al Comune a seguito della realizzazione di un edificio o più edifici.

 

G.M.: Come sono state individuate le aree di trasformazione?

A.P.: innanzitutto vi è stata una manifestazione di interesse stata aperta a seguito dell’atto di indirizzo (primavera del 2016) su alcune aree ritenute strategiche da quel documento. In un tempo congruo i portatori di interesse hanno fatto la propria proposta. Era anche richiesta la disponibilità a dare il proprio terreno come luogo di “atterraggio”, un tecnicismo legato alla Perequazione, uno strumento che rappresenta un altro grande valore del nostro Piano (si veda l’elaborato 03) redatto dal del professor Stanghellini. Questa è stata la base da cui siamo partiti a valutare effettivamente le proposte pervenute tra quelle che ricadevano in territorio urbanizzato (tutte quelle che ricadevano in territorio rurale ovviamente sono state escluse come da indicazioni normative). Le proposte prese in considerazione sono quelle che rispondono alle strategie politiche e dove vi è un chiaro interesse pubblico. Non tutte le proposte sono diventate aree di trasformazione né quelle che lo sono diventate sono equivalenti alle richieste. 

Oltre a queste manifestazioni di interesse, poi, ci sono stati circa 500 contributi volontari al Piano – è capitato anche di ricevere due o tre contributi sulla stessa area, segno di una veloce evoluzione economica – che sono stati sono stati schedati, georiferiti e valutati per la loro rispondenza agli obiettivi strategici e alla normativa.

Il risultato delle schede di trasformazione, in particolare quelle che applicano la perequazione, è la cessione delle aree all’Amministrazione Comunale per la realizzazione di servizi per la comunità. A fronte di un consumo di suolo per la realizzazione di edifici a margine, diamo alla cittadinanza ben 4 nuovi parchi – il Parco dei Ciliani, il Parco delle Fonti, il Parco di Cafaggio, il Parco di San Paolo – senza gravare sulle casse comunali. Se si attueranno queste previsioni, all’Amministrazione perverranno ben 85 ettari di verde e servizi annessi. E così si risponde anche ai cittadini che volevano più spazi aperti. Qualcuno ci ha chiesto come li manteniamo, la manutenzione delle aree verdi va vista come investimento per la salute dei cittadini; si sottolinea inoltre che parte dei parchi avrà vocazione di agricoltura in città e andranno quindi approntate convenzioni tra coltivatore e Amministrazione al fine di non incrementare la spesa pubblica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

G.M.: Oltre alle carte, cosa trova chi consulta il Piano Operativo?

Oltre alla parte cartografica, ci sono i documenti testuali. La “filosofia” del Piano – nascita e crescita delle idee, i passaggi, le leggi regionali e il Piano Paesaggistico, il processo partecipativo, i contributi dei consulenti, le strategie politiche e come sono state attuate etc… – è contenuta nell’elaborato 1, la Relazione Generale. Un documento che solitamente viene bistrattato in quanto non conformativo, ovvero non è una norma, ma che in realtà costituisce il modo più agevole per comprendere il Piano e i suoi contenuti. 

Come dicevamo prima, il numero degli elaborati che costituiscono il Piano è elevato ma dobbiamo considerare che ben 33 documenti sono gli elenchi degli edifici di pregio che sono stati catalogati. Ad ogni edificio censito sono dedicate 4 o 5 pagine di immagini tratte dai plantari piuttosto che dai cabrei o anche immagini attuali.

I plantari sono mappe realizzate a china o acquerello dove sono indicate le strade, i fiumi e gli edifici realizzate a partire dal Cinquecento ad opera dei “Capitani di parte” magistratura che all’epoca ne aveva la competenza, con il governo di Pietro Leopoldo da metà del Settecento architetti, ingegneri, periti ed agrimensori giravano a cavallo nelle diverse comunità per fare il rilievo di strade e abitazioni che vi si affacciavano, un censimento utile  alla conoscenza e alla redazione del piano di opere di manutenzione, una base di conoscenza territoriale utilissima. 

I Cabrei invece sono inventari di grandi beni (proprietà nobiliari o della chiesa); un insieme di documenti, in particolare mappe colorate, con dovizia di particolari ed elenchi di edifici, annessi agricoli, terreni con relativi tipi di coltivazione che danno conto sia della consistenza della proprietà che dell’uso, e per questo utilizzati come allegati ad atti notarili o per la definizione delle tasse. 

Vi è poi una documentazione fotografica costituita da tre fonti: le foto aeree dagli anni ’50 che possono essere utili a capire come si sono evolute alcune situazioni; le foto realizzate durante la redazione del Piano Secchi; le foto contemporanee. 

È stato fatto inoltre un lavoro capillare su tutti i manufatti come le ciminiere, le torri d’acqua, i tabernacoli e targhe commemorative, manufatti di pregio solitamente non tutelati. Sarà difficile controllare gli interventi su questi beni, ma lo riteniamo un importante passo soprattutto dal punto di vista culturale, per costruire la memoria della città.

Sono stati infine individuati anche gli alberi di pregio, indicati da un asterisco verde sulle tavole: quegli alberi potranno essere abbattuti solo se costituiscono un pericolo per incolumità pubblica o per grave malattia dell’alberatura, altrimenti sono da tutelare al pari di un manufatto. 

 

G.M.: Le persone possono consultare tutto questo materiale sul sito?

A.P.: Certo, sul sito gli elaborati sono divisi in quattro sezioni.

Una sezione è interamente dedicata alla VAS, Valutazione Ambientale Strategica, che individua e valuta gli effetti su tutte le componenti ambientali (suolo, acqua, aria etc) che le trasformazioni previste possono determinare. Faccio un esempio: se io prevedo di fare una nuova edificazione residenziale in un’area dove oggi ho soltanto un prato ovviamente questo genererà un danno dal punto di vista dell’impermeabilizzazione del suolo, avrò maggiori emissioni in atmosfera, andrò a generare un carico automobilistico maggiore etc; al tempo stesso, dal punto di vista sociale ho risposto alla domanda di nuovi alloggi, di nuovi servizi anche per le residenze già esistenti, etc.. Occorre quindi una valutazione dei costi benefici. Questa è contenuto nel documento della VAS, dove troviamo schede di valutazione con colorazioni che vanno dal rosso, arancione al verde a seconda del vantaggio che un determinato intervento crea per la comunità, oltre a indicazioni circa le mitigazioni o le prescrizioni da mettere in atto affinché l’intervento sia sostenibile. 

Poi c’è una sezione dedicata alla geologia, perché non dobbiamo dimenticare che contestualmente abbiamo fatto una variante al Piano Strutturale per adeguarlo al PGRA (Piano di Gestione del Rischio Alluvioni) e sono stati fatti studi idraulici con un nuovo modello matematico su tutto il territorio comunale, addirittura andando a considerare con un grosso lavoro in collaborazione con il genio civile anche tutti i bacini idrografici limitrofi al territorio comunale, arrivando fino a Pistoia da un lato, a Calenzano dall’altro, e sviluppando un nuovo modello idraulico che ha prodotto indicazioni più puntuali di pericolosità idraulica. Il tema della pericolosità è utile a definire in quale situazioni occorrono opere di regimazione idraulica. Nelle ormai note 55 tavole, sono indicate in giallo chiaro anche le casse di espansione necessarie per il contenimento delle esondazioni. Ogni volta che si andrà ad operare una trasformazione del territorio si dovrà verificare la classe di pericolosità idraulica, ma anche sismica e geologica, attenendosi alle specifiche prescrizioni. 

Queste prime due sezioni sono quelle forse più “ostiche” per il cittadino perché sono molto specialistiche, mentre il resto della documentazione è diviso tra quello che è prescrittivo, quindi la norma, e quello che è descrittivo.

 

G.M.: Oltre alla possibilità di consultare il piano online, qui all’Ufficio Urbanistica c’è un grande tavolo con tante carte. Si può consultare il piano anche in forma cartacea?

A.P.: Esatto, la normativa impone la massima diffusione del Piano adottato affinché ogni portatore di interesse possa verificare ed eventualmente osservare il progetto di città: questo avviene via web (documenti ora in PDF – in quanto suscettibili di modeste modifiche o correzioni – che quando il Piano sarà approvato saranno consultabili anche in modalità webGIS e digitando il proprio indirizzo o la propria particella catastale si aprirà la tavola corrispondente e grazie ad un sistema di interrogazioni si apriranno tutte le norme e le spiegazioni attinenti quell’edificio) e presso la casa comunale dove dobbiamo esporre tutta la documentazione in formato cartaceo. Quindi negli orari di apertura al pubblico, chiunque può venire, consultare e richiedere copia di ciò che gli interessa, questo sia all’ufficio Urbanistica che presso la sede del Comune.

Inoltre in questi giorni stiamo facendo sia degli incontri pubblici con i tecnici che operano in città, promossi anche attraverso il sistema dei crediti formativi, per spiegare in modo capillare tutto l’apparato normativo, sia, tre giorni alla settimana, riceviamo su appuntamento tecnici e privati accompagnati da tecnici, per domande specifiche.

 

G.M.: Poi si aprirà la fase delle Osservazioni. Come funzionerà?  

A.P.: Sul sito c’è una guida, ed è online anche il modulo da utilizzare. Inoltre stiamo spiegando ai tecnici come presentare le osservazioni e quindi cosa allegare e come riempire i vari campi del modulo. Questo perché più l’osservazione risulta chiara più noi abbiamo possibilità di rispondere in modo corretto. Ci aspettiamo anche osservazioni utili a correggere errori materiali che possono esserci sfuggiti. In questa fase, anche noi dell’ufficio ci faremo delle auto-osservazioni perché nonostante un continuo controllo, troviamo inevitabilmente errori, compresi quelli ortografici. 

 

G.M.: Secondo te il contributo della partecipazione, temporalmente parlando, è arrivato al momento giusto rispetto al lavoro che stavate facendo?

A.P.: Diciamo che per come siamo arrivati stretti nei mesi di Luglio e Agosto, avremmo dovuto iniziare come era previsto dal bando un paio di mesi prima, quello sarebbe stato un tempo ottimale per dare all’ufficio poi modo di analizzare il materiale con più calma. Comunque ce l’abbiamo fatta.

 

G.M.: Dunque con l’architetto Perretta abbiamo affrontato dal punto di vista tecnico come avete elaborato il materiale emerso dalla partecipazione e di come è fatto il Piano e come si consulta. 

Con l’Assessore vorrei affrontare le questioni da un punto di vista più politico. Nel report che vi abbiamo consegnato a Marzo scorso, rispetto ai 4 macro temi che abbiamo esplorato con il percorso partecipativo, avevamo sottolineato le principali questioni emerse. Eravamo partiti con il tema delle connessioni e sicuramente sono emerse istanze importanti rispetto alla viabilità, alle piste ciclabili e al trasporto pubblico. Ecco, su questo primo macrotema, cosa possiamo dire di avere “portato a casa” con questo nuovo Piano?

V.B.: Intanto un elemento fondamentale è considerare che il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, il PUMS, che ha sua volta era stato oggetto di partecipazione, è adesso dentro il Piano Operativo, cioè il Piano Operativo gli dà cogenza, lo definisce come percorsi, aggiunge, soprattutto sul tema della ciclabilità, tutti quei percorsi che non potevano essere previsti nel PUMS, perché il PUMS fa un’analisi puntuale e collega i punti sensibili esistenti, ma nel momento in cui il Piano individua nuovi punti sensibili – un nuovo ospedale, un nuovo centro sociale, etc… – chiaramente deve collegare al sistema quel nuovo punto di interesse in modo sostenibile. 

Il Piano ha l’obiettivo di creare connessioni in questa costellazione di luoghi con funzione pubblica che devono essere collegati tra loro. Dalla partecipazione è emerso che questo deve essere fatto in modo sostenibile, in particolare attraverso le piste ciclabili. 

Il Piano Operativo può identificare in modo cogente questi aspetti, mentre non può dire niente sul trasporto pubblico locale. Il Piano tiene conto tra l’altro anche del tema emerso dal coinvolgimento dei bambini che avevano detto che davanti alle scuole avevano una percezione di insicurezza per effetto delle macchine, quindi davanti alle scuole, alle parrocchie etc, abbiamo individuato delle zone 30 che il Comune potrà progettare in una strategia complessiva.

 

G.M.: Invece dal punto di vista delle connessioni di area vasta, che ovviamente interessano una dimensione territoriale che esce dai confini del Piano, cosa si è potuto fare?

V.B.: Il Piano inserisce nella strategie di mobilità la ciclovia Firenze-Prato e  abbiamo agito sulle connessioni ciclabili del Parco Agricolo della Piana, che proprio attraverso il territorio agricolo creano dei collegamenti con i comuni limitrofi. E poi abbiamo identificato alla Stazione Centrale un hub della mobilità, che è un elemento considerato dal PUMS e che ha una valenza sovralocale, che definisce lì un punto di intermodalità metropolitana dove quindi si possono andare ad allocare funzioni sovralocali. Certo non abbiamo potuto inserire nuove fermate o stazioni perché nei prossimi 5 anni non sono previste dalle ferrovie.

Poi abbiamo recepito l’ampliamento dell’Autostrada, con tutte le opere connesse.

G.M.: Passiamo adesso al secondo macrotema, ambiente e agricoltura: in conferenza stampa avete detto che questo è il tema che caratterizza il Piano. Cosa significa?

V.B.: Il tema ambientale è diventato il tema caratterizzante il Piano proprio perché è emerso con forza dal percorso partecipativo. Prima l’ufficio ha individuato consulenze specifiche – ad esempio quella sul cambiamento climatico – dando quindi una connotazione di approfondimento delle questioni ambientali. Poi proprio grazie al percorso partecipativo, con il contributo degli esperti ma non solo, sono stati individuati proprio i temi da inserire. Da un lato l’agricoltura, la tutela del paesaggio, la valorizzazione delle produzioni agricole e della gestione. Dall’altra parte è emerso il tema ambientale come tema di salute pubblica, che era l’input che fu dato nel crowdlab di Prato al Futuro e che è stato approfondito nei momenti di discussione con gli stakeholders e che gli esperti hanno declinato. Da lì è nato anche il tema della forestazione urbana ed è iniziato uno studio su una questione che il percorso partecipativo, di fatto, aveva fatto esplodere.

 

G.M.: Bene, abbiamo parlato di agricoltura, di forestazione urbana, ma cosa è stato previsto sul tema degli orti che era stato esplorato durante il percorso partecipativo?

V.B.: Dunque, rispetto a questo tema possiamo dire che, a parte gli orti sociali che esistono già, in questo momento con il finanziamento regionale dei centomila orti è stato realizzato un orto urbano a Viaccia, dove è già stato fatto anche il bando per l’affidamento. Poi ne sono previsti altri.

A.P.: Sono previsti altri orti in territorio urbano, per cui è prevista una normativa specifica, ognuna di queste aree non è mai isolata, ma affiancata ad altre tipologie di verde (parchi o verde sportivo) le indicazioni normative sono declinate dal programma regionale.

Sempre parlando di verde, un elemento importante nel corpo normativo sugli standard riguarda i parcheggi, con un’indicazione forte, che trova riscontro anche in altre Amministrazioni ma che è abbastanza innovativa per Prato, perché con questo Piano si stima che quasi il 40% dei nuovi parcheggi avranno una superficie verde, la norma spinge ad avere una copertura, a maturità delle piante, del 75%. Tanto che non si parla più di “parcheggi” ma di “parcheggi alberati”. 

Per quanto riguarda le alberature aggiungo una considerazione importante: dalla valutazione fatta dal professor Mancuso, emerge che tra gli alberi più diffusi a Prato abbiamo il tiglio, il platano e il pino e quest’ultimo è quello che ha la superficie fogliare maggiore, grazie ai tantissimi aghi. Però i pini, come tutte le alberature lungo strada, piantati 40 o 50 anni fa, sono giunti ad un’età più che adulta, quindi possono diventare un pericolo, soprattutto in considerazione dello scarso spazio a disposizione del le piante. Non si deve aver paura quindi di procedere alla loro sostituzione, senza aspettare danni dovuti da cadute accidentali. È vero che gli alberi adulti sono quelli che producono maggiori benefici, però non possiamo arrivare ad avere tutti gli alberi della stessa età: come nella popolazione umana, è chiaro che la parte più produttiva è quella adulta, che infatti definiamo popolazione attiva, ma dobbiamo creare le condizioni per il ricambio.

 

G.M.: Rispetto al tema delle acque, cosa possiamo dire?

V.B.: Il tema dei corsi d’acqua, cioè il fiume e le gore, viene affrontato su tre dimensioni: la prima è la dimensione storica, cioè la valorizzazione della presenza storica e delle testimonianze del sistema gorile che poi viene declinato nel sistema degli edifici di pregio, pur essendo considerato un sistema a sé stante presente in schede dedicata; poi c’è la dimensione delle connessioni, nelle tavole il sistema delle acque viene identificato come un sistema di connessioni fisiche, visuali e di valorizzazione dei tracciati storici. La terza dimensione da considerare è che il sistema fluviale e gorile è declinato in una delle 6 azioni dell’action plan della forestazione urbana. 

Poi c’è tutta la parte, che non riguarda direttamente il Piano Operativo, portata avanti dal gruppo di lavoro sull’economia circolare nell’ambito dell’agenda urbana, e cioè il tema del riuso delle acque e dell’acquedotto industriale della GIDA e delle potenzialità che può avere dal punto di vista ambientale e a come si può tradurre la presenza delle acque nell’irrigazione dei parchi. 

A.P.: Inoltre nelle piazze di nuova creazione e in quelle che verranno rigenerate, fatte salve le piazze del centro storico, se la pavimentazione supera i 500 mq dovrà essere previsto l’uso dell’acqua, declinato in vasche, fontane o come acqua nebulizzata, proprio come forma di contrasto ai cambiamenti climatici, quindi abbiamo inserito un’indicazione specifica nella progettazione.

 

G.M.: Bene, passiamo al terzo grande tema della partecipazione, il patrimonio da rigenerare. Sulla grande partita degli edifici dismessi, spesso quando portavate nel confronto pubblico l’input del riuso e della rigenerazione, i partecipanti ponevano la questione della sostenibilità e della scarsa fattibilità di queste operazioni, dato il frazionamento delle proprietà e la difficoltà nel mettere d’accordo tanti proprietari. Prima l’architetto Perretta ci ha spiegato bene il sistema della perequazione e quanto è previsto nel nuovo Piano, ma la domanda che vorrei porre all’Assessore è se davvero questo Piano pone le basi per un cambiamento forte nel riuso?

V.B.: Noi con questo Piano lanciamo una sfida: in una fase comunque di crisi economica, in cui il tema del riuso diventa l’unico vero tema di trasformazione di una città, noi abbiamo fatto sì che le norme agevolino e facilitino la trasformazione e il riuso della città. In questo momento il Piano rende possibile la trasformazione, e il frazionamento della proprietà è una criticità relativa, perché se analizziamo la situazione è vero tutto e il contrario di tutto. Ci sono situazioni di proprietà parcellizzata ma ci sono anche grandi proprietà. E soprattutto è una criticità in astratto: se pensiamo al centro storico, anche quello è tutto frazionato eppure è un sistema che funziona, i negozi sono aperti e il tessuto è vivace. Quindi la questione centrale è come la realtà si appropria del tema del riuso. Con il nuovo Piano, da un punto di vista normativo tutti quelli che erano dei freni, dei limiti o degli impedimenti al riuso di certe parti di città non ci sono più. Anzi. Soprattutto sul tema dei servizi. Perché se si deve riutilizzare un capannone, probabilmente, questo potrà essere usato come ufficio, come loft o come spazio per un’associazione. Tutto questo, che prima era molto complesso, adesso è non solo possibile ma facilitato. 

La vera sfida adesso è: il soggetto pubblico crea una cornice ma come si fa a far sì che questa si riempia effettivamente? Il Piano Operativo non può imporre le funzioni. Noi ad esempio diciamo che al Macrolotto Zero ci starebbero bene funzioni creative, in una strategia più generale che vede in quel quartiere il distretto creativo di area vasta, ma ci possono stare anche quelle non creative, non è che il Piano le vieta, intendiamoci. Allora il ragionamento è come dare corpo ad una strategia che renda operativa la visione. In questo senso io credo la strada da seguire sia quella della continuità tra la vision, il Piano Operativo e, su alcune zone, il Piano Smart City come strumento di urban management. 

Il lavoro che è stato fatto mette la città nelle condizioni di poter essere riutilizzata dal punto di vista normativo, adesso bisogna però che la città nel suo insieme aderisca a questa idea quindi provi a gestire questa trasformazione, e questo in parte è previsto nel Piano Smart City.

Una delle azioni che stiamo sviluppando e dirigendo nella partnership sull’economia circolare, è  proprio la promozione di un’agenzia urbana del riuso nelle città europee, che promuova nuove forme di utilizzo degli spazi e degli edifici pubblici e privati  inutilizzati o sottoutilizzati.

A.P.: Aggiungo poi che per gli usi produttivi, in particolare nel Macrolotto 1, abbiamo previsto la possibilità di arrivare fino alla sostituzione edilizia, che vuole dire la demolizione di quello che c’è e la sua ricostruzione in forma diversa, dando la possibilità di incrementare fino al 40% la superficie disponibile, quindi chiaramente andando in altezza e liberando suolo a terra. Questa è un’altra grande sfida per intervenire su strutture che sono energivore o che non hanno qualità architettonica. 

Sul Macrolotto 1 lo Studio dell’architetto Boeri sta facendo una simulazione di questi interventi di demolizione e ricostruzione a 5, 10, 15 e 20 anni e lo Staff che fa capo al professor Mancuso ne sta verificando i benefici rispetto alla qualità dell’aria e alla salute. Di aiuto sempre alla questione del riuso, dobbiamo considerare il Piano delle funzioni che si trova all’interno delle norme (elaborato 4, titolo ottavo) dove non si dice più quello che si può fare ma si dice solo quello che non si può fare, consentendo un’agile passaggio negli usi.

 

G.M.: Cosa si può rispondere a chi indicava la necessità di demolire, creare un po’ di spazio al macrolotto zero?

V.B.: Allora, al Macrolotto zero tutto l’edificato è precedente al ’54. Quindi quel pezzo di città dovrà mantenere il suo carattere, che è l’elemento importante. Detto questo, è chiaro che è il tessuto edilizio nell’insieme che deve mantenere la sua identità e non i singoli edifici, quindi si può innovare, si può rigenerare, si possono fare degli interventi. Qui dunque non si prevede la sostituzione, ma il mantenimento e l’innovazione. 

A.P.: Abbiamo previsto inoltre che connessioni urbane si possano sviluppare anche all’interno degli edifici, ovvero grazie all’apertura regolamentata sarà consentito il passaggio in aree dense durante il giorno.

 

G.M.: Arriviamo all’ultimo grande tema, quello dello spazio pubblico. La richiesta era quella di creare nuovi luoghi di aggregazione e dargli riconoscibilità. Prima dicevamo che i bambini avevano posto la questione dei centri commerciali, che vanno contro la filosofia del Piano, ma perché quei luoghi offrono spazi definiti e sicuri. I tecnici, durante il percorso, hanno evidenziato la necessità di spazi pubblici di qualità. Bene, cosa dice il Piano sullo spazio pubblico?

V.B.: Il Piano sullo spazio pubblico offre innanzitutto una visione complessiva perché la rete di connessioni di cui si parlava prima è una rete che di fatto corrisponde ad un insieme di spazi pubblici interrelati tra loro: ad esempio la scuola, edificio con funzione pubblica, ha una sua zona 30 che diventa spazio pubblico in cui la collettività può identificarsi. Il Piano cioè identifica quei luoghi che, anche attraverso la partecipazione dei cittadini, sono stati individuati come luoghi di affezione, quindi luoghi in cui vale la pena investire per creare spazio pubblico. Questa chiaramente è l’indicazione “alta”, che fa emergere la grande rete degli spazi pubblici che devono essere collegati tra loro in vari modi, attraverso le ciclabili o connessioni culturali o visuali. Dopo di che, si entra nel merito di come realizzarli, quindi nel merito della qualità con i concetti di demineralizzazione, forestazione, inserimento dell’elemento acqua eccetera. E qui si vede come il tema ambientale torna ad essere un elemento centrale anche per valutare come si realizza lo spazio pubblico, perché nei suoi diversi layer, il tema ambientale è trasversale a tutto il resto, a maggior ragione quando si parla di spazio pubblico.

A.P.: Ovviamente un piano urbanistico non può scendere nel dettaglio, ad esempio delle alberature si può dire solo se devono essere sempreverdi o a foglia caduca o rispetto alle realizzazioni non è consentito indicare il materiale da utilizzare ma solo le caratteristiche che questo deve avere. I dettagli quindi dovranno essere inseriti nel Regolamento Edilizio e nel Piano Del Verde che dovranno essere rivisti alla luce del Piano Operativo. Se in questo momento ci sono delle situazioni di contrasto tra i diversi strumenti, vale il Piano Operativo. La qualità è soggettiva. Noi abbiamo dato delle indicazioni generali, ad esempio rispetto ai sottoservizi abbiamo indicato di non interferire con le alberature, perché questo provoca continue richiesta di potature, l’indebolimento delle radici e il ribaltamento degli stessi alberi in caso di fenomeni meteorologici di un certo livello. Lo spazio alle alberature dovrà essere sgombro da interferenze in modo tale da non necessitare di potature, producendo maggiore ombra e benefici potenziali. Il Piano indica inoltre che l’altezza dei cordoli delle aiuole deve essere tale da non poter essere scavalcata dagli pneumatici delle auto che scavalcandoli possono rovinare le radici e quindi compromettere la salute degli alberi. Questo è un modo nuovo di approcciarsi alla progettazione ed è un modo di prevenire spese di manutenzione che possono essere preventivamente abbattute attraverso queste attenzioni. 

Il Piano Secchi aveva tre linee guida, di cui una anche sul verde. Però essendo linee guida, e non essendo cogenti, sono state spesso disattese. Oggi invece le indicazioni sono nel corpo normativo.

 

G.M.: La partecipazione aveva fatto emergere come prioritario il tema del mantenimento e della gestione dello spazio pubblico come precondizione alla sicurezza e alla vivibilità. Sappiamo che la gestione non è un tema da Piano Operativo, ma possiamo comunque dire qualcosa in merito?

V.B.: Certo, perché rientra sempre nel ragionamento della filiera che facevo prima: vision / Piano Operativo / Piani di settore / strumenti di gestione (Piano Smart City). Nella smart citizenship è ben presente il tema della partecipazione, degli usi civici, dei beni comuni eccetera. Di sicuro alla manutenzione di Piazza del Duomo ci deve pensare il Comune ma probabilmente in certe piazze – che non vorrei definire “minori” perché spesso sono quelle dove troviamo una cittadinanza attiva maggiore – sia nelle frazioni che nel centro storico probabilmente si possono sperimentare forme particolarmente innovative di gestione in cui i cittadini possono interagire con l’ente pubblico. Quindi sulla gestione dello spazio pubblico, è necessario che ci sia l’ente pubblico (lo dice la parola stessa) ma al tempo stesso ci devono essere i cittadini che lo utilizzano. Le sperimentazioni ci dimostrano che alcuni luoghi funzionano in automatico, altri invece no. Ad esempio al Serraglio, per favorire una riappropriazione dello spazio, è stato necessario che il pubblico mettesse una struttura che alimentasse l’interesse della popolazione, quindi in questi casi è necessario fare un investimento per creare la condizione per la rigenerazione e l’uso quotidiano, in altri casi invece basta fare uno spazio pubblico perché poi la gente ci vada.

Quello che mi preme ancora sottolineare è che il ragionamento sui temi ambientali, in particolare sulla forestazione, è un assunto culturale e politico. Noi stiamo dicendo che il verde, lo spazio pubblico e le aree naturali nella città non devono essere considerati una voce della spesa corrente, quindi essere manutenuti con le tasse dei cittadini, ma devono essere considerati un tema di prevenzione sanitaria, quindi bisogna cambiare prima di tutto la voce di bilancio che gli si dedica. Questo è il punto: investire nelle città sane per generare luoghi più belli in cui vivere , dove sia semplice avere stili di vita sani e  risparmiare poi sui costi delle cure di cittadini malati. Con il 5G abbiamo la possibilità della misurabilità, possiamo cioè misurare gli effetti benefici del verde e calcolare quanto questo impatti anche in termini di risparmi di spesa sanitaria. Se noi facciamo questo, la creazione e manutenzione spazi della città diventano una delle voci della spesa sanitaria che è la voce di spesa più importante dello Stato Italiano, ed è salute pubblica a tutti gli effetti perché è prevenzione sanitaria. 

L.Z.: Anche rispetto agli indicatori URBES (rapporto su “Il benessere equo e sostenibile nelle città”), questo aspetto (la salute pubblica) può diventare un elemento per misurare la qualità della vita

V.B.: Sì ma non solo. Da un lato, come dici tu, crei un posto migliore dove far vivere i cittadini. Ma dall’altro crei proprio cittadini più sani: puoi misurare scientificamente e in modo quantitativo gli effetti che gli alberi – l’ombreggiatura, l’assorbimento degli inquinanti, l’abbassamento della temperatura etc. – hanno nell’ambiente urbano e quindi misurare quante malattie in meno generi con uno specifico intervento di forestazione. Quindi investire in alberi diventa un modo per risparmiare in spese sanitarie. È un cambio di paradigma, perché non ci limitiamo più al punto di vista dell’architetto o del paesaggista o della biodiversità, come già facevamo perché era ovviamente doveroso, ma in questo caso assumiamo anche lo sguardo medico, della prevenzione sanitaria. Di fatto assumiamo l’approccio scientifico della medicina. Quando sperimentano i farmaci i medici danno a metà campione un farmaco e all’altra metà un placebo e misurano gli effetti. Adesso anche noi, finalmente, possiamo usare un approccio scientifico su questo tema. 

Qui si apre la grande sfida per l’ente pubblico, che ovviamente per attivare questo cambiamento paradigmatico deve avere le aree dove piantare gli alberi e assicurarne la gestione.